Nadia Murad, Premio Nobel per la Pace 2018, ha rilasciato un articolo per la rivista online Elle. Oggi 3 agosto, ricorre l’ottavo anniversario del genocidio yazida seguito all’invasione delle truppe armate dell’ISIS a SInjar. Murad è stata tra le vittime delle milizie dello stato islamico ridotta a schiava e vittima di tremendi abusi sessuali, fisici e psicologici. A distanza di 8 anni sono ancora molte le sopravvissute che attendono che sia fatta loro giustizia. 


Murad, nel testo dell’articolo, ha spiegato come sia fondamentale mantenere vivo il movimento nella mente delle persone. Lei, con la sua organizzazione Nadia’s Initiative, continua tutti giorni a mantenere la luce alta sulle vittime di questo crimine atroce. Murad ha spiegato come seppur si affrontano sempre nuove crisi, si deve sempre tenere alta l’attenzione sulle vittime e i sopravvissuti non lasciandole sole e soli. Non si può dunque lasciare che comunità intere siano lasciate al proprio destino, sperando che si risollevino da sole. Per la Premio Nobel ricostruire una comunità dopo un conflitto, un genocidio o delle violenze sessuali richiede anni e anni con sforzi senza sosta.

È proprio con questo obiettivo, quello di non far mai calare il sipario su queste realtà, che Murad chiarisce perché non possa mai rimanere in silenzio. Seppur a volte le sembra di ripetersi all’infinito, sa che le parole restano importanti e che i messaggi vanno ripetuti sempre fino a che i problemi non siano davvero risolti. I problemi non finiscono con le guerre, ma concludono solo e se le persone potranno tornare alle loro vite normali.

Ora ho la libertà di percorrere chilometri ascoltando Dua Lipa e Cardi B. Mi lascio tutto alle spalle e mi concentro sul futuro e sui miei obiettivi.”

Nadia Murad

Nadia Murad ha spiegato come ritenga importante che i cambiamenti realmente sostenibili debbano essere guidati dalle comunità locali, che davvero conoscono le esigenze più adatte ai loro problemi. Questa è proprio una delle mission di Nadia’s Initiative, l’organizzazione che dal 2018 cerca di difendere a livello mondiale le sopravvissute alla violenza sessuale e di ricostruire quelle comunità seviziate da questi crimini. Per far questo l’organizzazione cerca di dare voce non solo ai leader, ma anche ai soggetti storicamente sottorappresentati ovvero donne, sopravvissuti e persone emarginate. La soluzione non può che basarsi sulla inclusione.

La sua esperienza le conferma che condividere la propria esperienza sia uno strumento potentissimo. Anche col suo libro “The Last Girl” ha voluto esprimere il concetto che vuole essere l’ultima donna ad avere una storia del genere. Essere vittima di una violenza sessuale non distrugge solo la vita della vittima, ma quella di intere famiglie e comunità. Raccontare queste storie permette alle persone di dare un volto agli orrori di cui possono aver solo sentito parlare o letto. Quando sentiamo parlare di gruppi come l’ISIS, i Talebani o Boko Haram, dobbiamo capire cosa fanno alle donne: la realtà è che le donne vengono sempre usate come arma di guerra.

La Premio Nobel ha poi parlato della situazione attuale in Ucraina. “Vedo le stesse cose che stanno accadendo alle donne in Ucraina. Abbiamo collaborato con il governo britannico e quest’anno abbiamo pubblicato il Codice Murad, una serie di linee guida per i giornalisti e gli investigatori che lavorano con i sopravvissuti alle violenze sessuali, per essere in grado di interagire con loro in modo rispettoso. Sono orgogliosa di dire che abbiamo già tradotto il codice in ucraino e lo abbiamo condiviso con il governo; speriamo che la gente possa trarne beneficio.”

Murad ha poi raccontato le responsabilità scaturite dall’essere stata insignita del Premio Nobel per la Pace 2018. Una sola persona, una sola ONG, non riesce a portare giustizia alle persona anche se si è vinto il Nobel. Per fare passi in avanti si ha il bisogno che i leader del mondo siano uniti per aiutare realmente le comunità che hanno subito genocidi. Genocidi di cui non vuole essere la voce, in quanto ritiene che tutti i sopravvissuti abbiano il diritto di poter raccontare la loro storia e il diritto di essere ascoltati.

Nadia Murad ha infine raccontato come per concentrarsi cammina per chilometri pianificando quello che dirà per convincere chi incontra ad agire in modo sostenibile. Nei lunghissimi giorni in cui era prigioniera dell’ISIS, una delle cose che desiderava di più era allontanarsi da quel conflitto e da tutto l’odio. “Ora ho la libertà di percorrere chilometri ascoltando Dua Lipa e Cardi B. Mi lascio tutto alle spalle e mi concentro sul futuro e sui miei obiettivi.”

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